Storytellin: cos'è

Storytelling: cos'è? Il Prof. Cesare Catà ci spiega l'arte del narrare

Scritto da Eventonic.it. Pubblicato in Interviste

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Lo Storytelling è l'arte della narrazione, l'arte del raccontare storie impiegata sempre più frequentemente nelle strategie di comunicazione digitale, politica e aziendale come tecnica di persuasione. Questa potrebbe essere una definizione da manuale utile per spiegare questa tecnica persuasiva ormai talmente diffusa che gli storyteller si occupano sempre più spesso di storytelling aziendale, digital storytelling e persino i professori usano lo storytelling a scuola. 

Abbiamo chiesto a Cesare Catà, un esperto storyteller, filosofo e performer teatrale, di parlarci dello storytelling e la sue risposte sono state davvero sorprendenti.

D'altronde c'era da aspettarsi qualcosa di affascinante da uno che lo storytelling lo fa e lo insegna da anni. Cesare Catà infatti è un personaggio atipico: eccellente professore e narratore tre anni fa ha creato Magical Afternoon, un format teatrale dinamico e appassionante, che porta in giro per varie location d'Italia usando proprio lo storytelling in maniera magistrale per animare pomeriggi, serate, feste ed eventi, avvicinando il pubblico alle vite e alle opere dei grandi della letteratura. 

Lasciamoci condurre dalle sue coinvolgenti parole!

Storytelling: Intervista al Professor Cesare Catà

storytelling intervista a cesare catà

 

Professor Catà, come possiamo definire lo storytelling?

Una definizione preliminare, un po’ manualistica, potrebbe descrivere lo storytelling come l'arte del narrare, ovvero la capacità di strutturare entro uno svolgimento narrativo logicamente coerente ed esteticamente attraente il materiale dell'esperienza e della conoscenza. Ma c’è un dato ulteriore, a mio avviso. Il carattere per così dire “ontologico” dello storytelling.
  

Cosa intendi con “carattere ontologico dello storytelling”?

Intendo che il nostro stesso essere, come uomini, è correlato nell'essenza con lo storytelling. La nostra mente, cioè, per comprendere il mondo, utilizza inconsciamente sempre lo storytelling. Quando una situazione ci è chiara e la comprendiamo, ciò avviene perché la nostra mente, automaticamente, costruisce una storia coerente. È questo che ci permette di alzarci al mattino e compiere le più banali azioni quotidiane: mentre viviamo, la nostra mente costruisce storie. Potremmo dire, in questo senso, che la psiche umana è fatta a forma di storytelling.


Puoi farci un esempio?

Certo. Se entriamo in un pub, ad esempio, e vediamo un uomo in piedi dietro al bancone, altri seduti su degli sgabelli, una coppia al tavolo, un uomo anziano che pulisce i pavimenti, la nostra mente immediatamente costruisce una storia in cui quello dietro al bancone è l'oste, gli altri degli avventori, l'anziano è il signore delle pulizie. Non abbiamo queste nozioni, ma la nostra mente in modo automatico si è auto-narrata una storia. Lo facciamo sempre, ci serve per sopravvivere. Ecco, lo storytelling è la forma della nostra psiche perché per comprendere il mondo gli uomini si autonarrano una storia.


Quindi siamo tutti storyteller?

A un primo livello, sì. È appunto una caratteristica fondante dell'umano. Ma perché una storia “funzioni” anche al di fuori dell'autonarrazione servono altri elementi. Serve la capacità visionaria di scorgere altre storie dentro e dietro la storia apparente. E questo lo fanno appunto gli storyteller, oltre ai bambini e ai pazzi.

 

I bambini e i pazzi. Perché?

Prendiamo l'esempio di prima. Entrato in un pub, un bambino a un certo livello di evoluzione cognitiva non costruirebbe in automatico una storia normalizzata come sopra: l'oste potrebbe essere il guardiano di un castello e il bancone il ponte levatoio, gli avventori del pub dei cavalieri e il signore delle pulizie un druido… Per questo i bambini giocano facendo parlare gli oggetti, antropomorfizzando l'universo-mondo, e così via… è il bisogno originario della mente di creare storie per sopravvivere. Lo facciamo persino mentre dormiamo.

 

 Anche i pazzi, dicevi.

Beh, sì, senza dubbio. In modo un po’ grossolano, e tuttavia abbastanza vicino alla definizione che ne dà la psicanalisi freudiana, potremmo descrivere la cosiddetta follia semplicemente come uno storytelling non condiviso. 

 

In che senso?

Quando perdiamo i sensi e poi ci riprendiamo, per esempio dopo una caduta o dopo una sbronza, non a caso le prime domande che ci fa l'operatore sanitario sono: chi sei? Dove siamo? Che giorno è? Sono le coordinate narratologiche, per così dire, della storia condivisa, su cui siamo tutti d'accordo, in base ai dati empirici che abbiamo. Ma la psiche – per un'infinità di ragioni – può portarci a mettere in discussione questi parametri, e la nostra mente allora ci racconta un'altra storia: io non sono più Cesare, ma magari Elisabetta I, non ci troviamo (come ora) nelle Marche, ma alle Isole Far Oer, non è il 2018, ma il 1880. Diagnosi di follia, delirio, ma tecnicamente in questo caso sono cambiati solo tre parametri narrativi.

 

 Quindi c’è un legame tra follia e storytelling?

Un legame profondo. Dicevo, prima, che la nostra mente può reinventare i parametri narrativi condivisi, rispetto alla storia su cui siamo tutti d'accordo, per molte ragioni. Quella più ricorrente e decisiva riguarda il fatto che la storia della nostra vita a un tratto non funziona a livello narrativo, ci sembra assurda, e quindi la mente è portata a reinventarne un'altra. Alla ricerca di un senso perduto. Alla fine di una storia d'amore, dopo un lutto o una delusione enorme possiamo impazzire. Perché? Perché la storia condivisa perde di senso, e la nostra psiche deve inventare una storia migliore. Una storia però, che non è più quella su cui siamo tutti d'accordo.

 

Ma c’è anche qualcosa che distingue la follia dallo storytelling?

Assolutamente, sì. Forse il fatto che una quantità abnorme di scrittori e narratori abbiano problemi psichici e di dipendenze c’entra con quel legame tra follia e storytelling cui ho accennato; tuttavia, se spesso lo storyteller è un pazzo, il pazzo non è mai uno storyteller, perché quest'ultimo implica il possesso pienamente cosciente e rigoroso di un talento e di una tecnica, che è quella del narrare, e che rende uno storytelling attrattivo.

 

Ma qual è il segreto di uno storytelling attrattivo?

Una formula non c’è, secondo me. È il motivo per cui non credo alle scuole di scrittura. Ma certo possiamo dire quando un narrazione funziona e cercare di capirne il perché. Su questo esistono saggi recenti molto belli e ben fatti, ma a mio avviso è già scritto tutto nei classici. In particolare, nel libro definitivo sullo storytelling, composto quattro secoli prima di Cristo e intitolato Poetica. L'autore è un certo Aristotele, e ci fornisce  i parametri fondamentali per definire uno storytelling funzionante.

 

Quali sono i parametri indicati da Aristotele?

Logica, fantasia, bellezza. Quando una storia risponde a una coerenza narrativa, quando inventa qualcosa rispetto all'ordinario, quando usa sapientemente la lingua per creare un piacere estetico, una storia, secondo Aristotele funziona. Non c’è da aggiungere molto, ma solo da approfondire quello che lui dice. Poi la questione fondamentale nello storytelling è aristotelicamente l'imprevisto: ossia il rapporto tra l'Eroe, il suo Problema, e la sintesi tra questi due. Aristotele definisce “catarsi” il processo di immedesimazione del fruitore con il racconto del problema nello storytelling, ed è il tema fondamentale che sarà al centro di tutte le ricerche successive, sino alle neuroscienze contemporanee con i neuroni specchio.

 

Perché sembra così importante lo storytelling oggi?

Forse perché la nostra società nell'era moderna ha un po' sottovaluto l'importanza delle storie nella vita. Certo, non abbiamo mai smesso di narrare, solo la forma è cambiata: seduti davanti al fuoco, al cinema o sui social, il dato che rimane è la narrazione e la sua capacità “magica”, per così dire, di connettere le menti.

 

Quindi chi è lo storyteller?

Difficile darne una definizione unitaria, ma si potrebbe dire che è colui che, narrando la sua storia, narra la storia di tutti.

 

Tu che tipo di storyteller sei? Come ti definiresti?

Non saprei, di certo cerco la versatilità, declinando lo storytelling in vari modi, dai libri ai social, al teatro, ai luoghi di aggregazione più strani come pub, spiagge, ristoranti e boschi. Vorrei essere uno storytelling molto classico nell'ispirazione, ma molto contemporaneo nell'azione.

 

Storytelling. Cesare Catà storyteller

 

 

Utilizzi lo storytelling anche nell'insegnamento?

La prima applicazione dello storytelling è sicuramente di matrice pedagogica, e infatti secondo me a scuola e nelle università dovrebbe essere molto utilizzato, in quanto la più efficace forma di apprendimento è quella che coinvolge l'intelligenza emotiva che si attiva con lo storytelling. È lo stesso principio per cui lo storytelling è una delle armi più potenti nella comunicazione aziendale e nella pubblicità.

 

Aziende e pubblicità, appunto. Lo storytelling è lo strumento del futuro?

Forse anche del presente. Il discorso sarebbe ampio e articolato, ma volendo racchiuderlo in una risposta si può dire che uno storytelling efficace è proprio quello che sta alla base della costruzione identitaria di un brand e al suo relativo posizionamento sul mercato. Per quanto riguarda le pubblicità, lo storytelling è una delle tecniche più difficili e rischiose, ma anche delle più efficaci, come grandi marchi globali infatti hanno compreso ampiamente negli ultimi 5-10 anni. Sono convinto che proprio la creatività degli storyteller, soprattutto in quello che viene definito il "digital storytelling", nel prossimo futuro, potrà fare la differenza per molte aziende nel marketing e nellla brand strategy.

 

Storytelling: intervista al professor Cesare Catà

 


Hai dei numi tutelari e dei punti di riferimento come storyteller?

Senza dubbio Shakespeare, che è stato il più grande storyteller della storia universale.

 

Un grande storyteller del mondo contemporaneo?

Per molti versi, il nome più rilevante in questo senso è secondo me quello di Walt Disney.

 

Invece nell’Italia contemporanea?

In Italia, rispetto ad altri paesi europei e soprattutto rispetto agli USA, l’arte dello storytelling è ancora poco approfondita e celebrata. Però ci sono esempi secondo me molto interessanti, negli ultimi anni. Penso, per il teatro, al lavoro fatto da un'autrice come Lella Costa, solo per citare il nome che più amo tra vari monologhisti-storyteller divenuti giustamente celebri. Ammiro e mi ispiro anche al lavoro fatto in tv, in un altro ambito, da Federico Buffa. Senza dimenticare, ovviamente, tutto il percorso, letterario e didattico, portato avanti da Baricco. 

 

Dove proponi solitamente i tuoi spettacoli teatrali e a chi?

Beh il pubblico è quanto mai eterogeneo e anche le location, come accennavo, sono le più disparate. Quando c’è una storia da raccontare, se accogli la sfida di rischiare e provare a vedere se sei in grado di raccontarla, poi il pubblico si forma attorno a questo. E per ora il nostro progetto dei Magical Afternoon ci ha dato risultati molto brillanti, insperati.

 

Per quali eventi è buona idea chiamare uno storyteller come te e perché?

Per tutti quegli eventi in cui l'intrattenimento della parola letteraria, pensata in modo appassionante e ironico come cerchiamo di fare, possa essere un valore aggiunto. Delle persone in circolo e la voglia di ascoltare una storia: non servono molti altri ingredienti per un evento di storytelling. Per cui siamo aperti ad ogni tipo di evento. Per fare un esempio: a una festa a tema anni 50 si può organizzare un Magical Afternoon con uno storytelling su un autore della Beat Generation come Jack Kerouac, oppure centrare una festa o un evento speciale su un autore o un personaggio specifico. Alle feste celtiche perché non parlare di Tolkien? Si impara e ci si diverte. Funziona! Ho le prove!

 

 

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Le storie che racconta lo storyteller hanno una fine?

In un certo senso, sì. Le storie funzionano se hanno un finale coerente e bello, che indichi un senso ulteriore del mondo. Ma si tratta, appunto, di un finale, non di una fine. Perché, come diceva un grande storyteller, Tolkien, "le grandi storie non hanno mai fine". Non a caso, narrare, oltre al respirare, è l’unica cosa che, finché siamo vivi, non smettiamo mai di fare, neanche dormendo (qualcuno dice che la nostra mente continui a narrare anche dopo la fine del respiro, ma chissà!). Di certo, mentre viviamo, siamo solo gli scrittori di capitoli di una storia più ampia. Forse per questo è tanto importante raccontarla nel modo migliore.

 

Grazie Professor Catà, è stato davvero piacevole parlare di storytelling con te. Approfittiamo per farti i complimenti anche per la splendida  rubrica sull'Huffington Post Italia in cui racconti le storie di grandi scrittori! Speriamo di rivederti presto, magari in qualche tuo spettacolo.

Grazie a voi. Siete invitatissimi. Sicuramente non mancheranno le occasioni!

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